Davide Peccioli


Recensione di 'Se questo è un uomo' di Primo Levi


Primo Levi, sopravvissuto alla deportazione di Auschwitz, narra in “Se questo è un uomo”, libro primogenito, la sua “esperienza” al campo di sterminio, fino alla liberazione da parte dei russi.

Il libro è narrato in prima persona, e l’ordine della narrazione è prevalentemente cronologica, nonostante siano presenti alcune anticipazioni. L’arco temporale trattato è di circa un anno, e va dalla cattura di Primo Levi, descritta in maniera sommaria, fino all’arrivo dei russi nel campo di sterminio, che verrà ripresa più approfonditamente ne “La tregua”, sempre del medesimo autore.

Come afferma lo stesso autore, lo scopo dello scritto non è fornire nuovi capi d’accusa nei confronti dell’eccidio nazista, bensì analizzare, per mezzo di una narrazione che vuole essere oggettiva e priva di quell’odio e quel rancore che sarebbe stato pienamente giustificato, alcuni aspetti della natura dell’animo umano.

Viene posta particolarmente in risalto la metodicità del lager, in cui ogni singolo aspetto è scandito da una precisione millimetrica, che resterà pressoché intatta fino all’arrivo dei russi, che porterà i nazisti a fuggire abbandonando il campo.

Primo Levi non considera le colpe effettive dei nazisti limitate soltanto alla distruzione fisica di più razze, bensì al loro annientamento totale, in quanto i prigionieri venivano privati completamente della loro dignità di uomini, e si tramutavano in esseri inanimati, senza neanche più volontà di vivere, che conducevano una esistenza volta solo all’indomati, la cui voglia di fuggire, di ribellarsi, è stata ridotta a brandelli.

In più, viene sottolineato come non solo la dignità è stata annullata, ma ogni forma di limitazione dettata dalla civiltà: gli istinti animaleschi di sopravvivenza, e di assoluto egoismo vengono a galla, sopprimendo ogni limitazione che gli era stata posta; nei dormitori si lotta per un pezzo di pane, si deve fare attenzione agli stracci che si “posseggono” per evitare che vengano rubati, e viene meno anche quel sentimento, che tanti esempi di narrativa propongono, di fratellanza e reciproco aiuto tra oppressi.

L’opera riesce molto bene nel suo intento di analizzare la natura umana, in maniera incredibilmente oggettiva, senza accenni di odio, nonostante il racconto sia narrato in prima persona.
In definitiva, una testimonianza chiara, consapevole del suo peso, che coinvolge il lettore nella tragedia della Shoa.